Già sono più giorni ch’io ti sento triste, Eterno Tempo che mi neghi il vero. Le figure invernal si avvicendano leste ad indicar un futuro avaro e mesto.
Ragionando della verità, piglio diletto A vagheggiar di mostri e di chimere. Ventre di capre e fauni possenti.
In me non sarà più cuore virile. Dicoti amico: fu grande Giove,
ma non maggior di lui sarai mai forte. Tua benevolenza pur’io vagheggio come il prode Ulisse il patrio lido ed il perduto regno.
Certezze più non ho: Amico Tempo La mia casa non è più solida roccia
Tu dipingi cieli, Ti accendi e poi sfavilli. Brilli e poi fuliggini. Mai dimori, mai chiedi. Quieto non sei,
mentre le nubi tesson perenni albe dorate e tramonti struggenti. Aduse come son a batter l’ore
di noi mortali che speriamo ancora che il sangue non si geli nelle vene, che il tempo fugherà angosce e pene